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Tra i fenomeni atmosferici, tanta parte nella mitologia, nel folklore e nella fantasia popolare ha avuto l’arcobaleno. Meraviglioso ed effimero fascio di colori prodotto dalla rifrazione della luce nelle gocce d’acqua sospese, studiato per la prima volta da Aristotele nella Meteorologia, riveste un certo peso nella storia degli studi linguistici. Le sue denominazioni attingono ampiamente al fantastico, a partire dall’enigmatico nome arcobaleno. Le possiamo visualizzare sulle belle carte dell’Atlas Linguarum Europae, custodite nella nostra sezione di Glottologia a Balbi 4, dall’Islanda e dalla penisola iberica fino ai monti Urali. Un pensiero va quindi al fondatore dell’ALE e autore della voce ARCOBALENO, il Prof. Mario Alinei (scomparso nel 2018), a lungo in stretti rapporti di collaborazione con la cattedra di Glottologia per Lingue nel nostro Ateneo.
Ora, gli IRIDONIMI, ovvero nomi dell’arcobaleno, sono secondo l’Alinei divisibili in tre gruppi, ciascuno facente capo a una diversa motivazione: quelli per l’appunto neutri, descrittivi, p.es. arco, cintura, ponte, cerchio; quelli che attingono a concezioni magico-religiose della natura (il più famoso è il tipo ‘drago, dragone o serpente’); quelli che accanto al sostantivo arco o cintura pongono il nome di un santo (nei paesi cattolici) o di Allah o ancora altri dèi a seconda dei luoghi e delle religioni. Questi tre gruppi di denominazioni sono stratificati lungo il tempo: la fase più antica – i nomi da animali mostruosi e/o fantastici – potrebbe essere definita di tipo magico-religioso; mentre la fase ‘arco del santo/ del dio’ si svilupperebbe dopo la prima e in parallelo alla formazione di religioni strutturate. Si divide in due: la fase pagana, per fare un esempio sul nostro territorio, può essere rappresentata dal tipo ‘arco di Venere’ (dialetti d’Abruzzo come arkevennele e simili) – già alluso in Plauto; invece denominazioni del tipo ‘arco di san Martino’ (Friuli) implicano l’avvenuta cristianizzazione dei territori e sostituivano probabilmente qualche nume pagano del luogo. Prova ne sia che in una parte dell’Abruzzo il tipo ‘arcu veneris’ prima citato è stato sostituito dall’arco della Vergine. Se cambiamo paese avremo un ‘arco di Allah’ nel mondo arabo e un ‘arco di Indra’ nel mondo indiano.
Interroghiamoci ora sull’origine del nome a noi più familiare, ARCOBALENO, che prevale nel territorio italiano (carta AIS II.371) accanto a tipi minoritari e locali. Esso è probabilmente la sintesi di un composto che voleva dire ‘arco della balena’: l’interpretazione è plausibile e viene sostenuta con buoni argomenti dal linguista Giovanni Frau in un articolo del 1976. La balena, con la sua gigantesca schiena arcuata sul mare, ben si presta a trasfigurare fantasticamente il fenomeno. Si è avanzata tuttavia anche un’altra interpretazione: quella che il secondo membro del composto coincida con la parola ‘baleno’, sinonimo di ‘lampo’. In tal caso l’AB sarebbe l’arco balenante, ma tale interpretazione pare meno probabile perché l’arcobaleno non è un fenomeno rapido e guizzante.
Un ultimo accenno meritano i dialetti liguri: praticamente in tutta la regione è diffuso il tipo ‘arco in cielo’ (arcunsé o, più genuino, ercunsé), che si vuole prestito dal francese arc-en-ciel. A Ventimiglia è stato raccolto anche arcu du su. La parola italiana arcobaleno ha coperto decine di denominazioni alternative che si recuperano dai dizionari e dagli atlanti dialettali.