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Come azzurro e zero, anche zucchero è una parola viaggiante. Distinguiamo le parole viaggianti, i cosiddetti prestiti o mutuazioni, da quelle di eredità comune: per esempio i numerali, i nomi di parentela, i nomi delle parti del corpo, i pronomi appartengono al lessico di base e sono perciò generalmente ereditati da una lingua da fasi precedenti. Non c’è modo di ricondurre il lat. decem a un prestito dal sanscrito daśa ‘dieci’ o l’inglese foot a un prestito dal sanscrito pad- ‘piede’ o anche da lat. pedem, greco poda etc. In questi casi non si tratta di prestiti, bensì di eredità comune indoeuropea. Diverso è il caso del lessico alimentare. Molti nomi di prodotti commestibili si spostano insieme al loro designatum, da Oriente verso Occidente, dall’India verso il Mediterraneo.
Seguiamo qundi il percorso di tosc. zucchero. La più antica attestazione registrata dal TLIO è in un documento fiorentino del 1278-1279 ce guadagnò di polvere di zucero. Nello stesso secolo Cecco Angiolieri, in un sonetto a Dante, per indicare una persona che è solo apparenza e niente sostanza, dice: par zuccar caffettin ed è salina ‘sembra zucchero rifinito ed è sale grezzo’ (caffettino significa ‘zucchero di qualità molto pregiata, forse della città di Caffa o, secondo Pellegrini, quffa(t) italiano coffa???). La variante zucchero è parimenti attestata nel XIV secolo.
L’origine di questa parola è indiana: essa viene infatti dal sanscrito śarkarā, un sostantivo femminile di attestazione molto antica (si trova in un’opera del 1200 a.C. circa), che non significa però ‘zucchero’ bensì ‘ghiaia’; è del tutto possibile che corrisponda al greco antico κροκάλη ‘ciottolo che si trova lungo la riva del mare’. L’aggettivo śarkara- indica inoltre qualcosa di ghiaioso e granuloso. Nel medio indiano, quindi in una fase cronologica successiva, la parola si semplifica foneticamente e diventa sakkharā e indica anche il granulo, il cristallo e quindi lo zucchero. Il significato doveva essere abbastanza generico, perché troviamo anche il composta sakkharalona-, che significa ‘sale in cristalli’ (lona- = sale). Nel medio-persiano esiste /šakar/, che viene ritenuto un prestito da una lingua indoaria, ovvero da un pracrito nordoccidentale (śakara), in area limitrofa a quella iranica. Oggi, in persiano moderno, la parola suona šekar.
Stiamo parlando, ovviamente, dello zucchero di canna, non di quello di barbabietola (entrato in produzione sono nel 1800). La canna da zucchero fu introdotta in Sicilia dagli Arabi nel XII secolo. Proprio l’arabo, quindi, porta nel Mediterraneo il prestito, adattato secondo un normale schema apofonico di formazione della parola, con le vocali u---a, ovvero sukkar (a lungo ne parla il Pellegrini nel suo celebre volume ALN del 1972). Forse l’arabo importa il nome direttamente dall’India, attraverso le rotte commerciali e non è necessaria l’idea di una mutuazione dal persiano. La fonte dell’arabo sembra anzi essere il pracrito classico sakkarā.
In greco antico la parola σά[κ]χαρι era già entrata intorno al I sec. d.C. dalla lingua pali (medio-indiana) sakkharā, di cui conserva bene l’aspirazione centrale. Anche in questo caso il prestito si deve a esplorazioni geografiche e commerciali, perché essa compare in un’opera che descrive le rotte tra Mediterraneo, Mar Rosso e Oceano indiano, il cosiddetto Periplos Maris Erythraei, databile al I secolo d.C. Abbiamo inoltre il sostantivo neutro σά[κ]χαρ, genitivo σά[κ]χαρος, che viene usato dal medico Galeno (II sec. d.C.), De simplicium medicamentorum temperamentis ac facultatibus 7 e σά[κ]χαρον da Dioscoride, un altro medico e botanico vissuto nel I secolo d.C. In effetti, lo zucchero è inizialmente un ingrediente di preparati medicinali, mentre le pozioni dolci del mondo classico erano a base di miele (μέλι), entre in epoca bizantina si diffonderà sempre più come ingrediente culinario.